Non vi nego che, spesso, ho pensato a questa cosa.
Prima di avere dei figli avevo tutto ben chiaro, beata me! Tutto organizzato, attività, percorsi, giochi, cosa fare e cose da non fare. Che illusa e che grande errore sottovalutare e ridurre un bambino a qualcosa da sistemare, impegnare, portare, nutrire. Non avevo proprio a fuoco ciò che muove tutto ciò e di cui ha bisogno principalmente: l’amore.
Ovvio che non l’avevo escluso, però lo avevo dato molto per scontato. Non scontato l’amore in se, ma forse le attenzioni, la condivisione, la relazione. E quando queste attenzioni, la condivisione e la relazione sono venute meno da parte sua, io mi sono persa e accusata.
Ad un certo punto, quindi, mi è stato chiesto di essere un genitore mille volte più premuroso, attento, a fuoco nella relazione, nella condivisione e nella comunicazione, un po’ educatore, un po’ terapista, capace di infinita comprensione e pazienza, equilibrato e attivo anche con poche ore di sonno e magari anche di buonumore.
Ecco che qui ritornano protagonisti gli argomenti di sempre “ricalcolare il percorso” e “piano B”, ma il piano B nella nostra idea di genitorialità? Viene sempre dato molto per scontato che un genitore sia pronto, preparato e attento in condizioni tipiche, che già non sono per forza semplici. Ma chi è pronto ad essere genitore nella disabilità?
La cosa che ti salva la vita è la vita stessa. Nessuno ti insegna, devi trovare la tua maniera e la tua strategia, devi imparare da tuo figlio. E poi la sera quando andrai a letto ti chiederai che genitori tu sia stato. Avrò fatto bene? Avrò sbagliato? Semplicemente avrai fatto del tuo meglio.
Il mio motto: “io speriamo che me la cavo”.
Chiara